10/28/2006

Non si dimentica

Il 28 ottobre 1979, allo Stadio Olimpico, è in programma il derby Roma-Lazio. L’Italia sta vivendo gli ultimi anni di quel ribellismo socio-politico giovanile che da un decennio la stava percorrendo e che è ormai alla vigilia di quello che poi verrà definito “riflusso”.
Viceversa, sta assumendo le dimensioni di massa un nuovo fenomeno di aggregazione – il tifo organizzato “ultrà” - che, neppure troppo metaforicamente, segna il passaggio di testimone dell’impegno e dell’interesse del mondo giovanile e che, nel ben o nel male, sarà protagonista per i decenni successivi.
A Roma, nello specifico, hanno visto la luce da alcuni mesi gli Eagles Supporters Lazio (ES) ed il Commando Ultrà Curva Sud Roma (CUCS), due gruppi che, per dimensioni e qualità, lasceranno decisamente il segno nel panorama ultrà della città e dell’intera nazione. Salvo poi essere defenestrati (gli ES agli inizi degli Anni Novanta, il CUCS un decennio più tardi) dalla successiva “generazione ultrà”, per ragioni molto simili.
Il sommarsi dell’antagonismo politico ad una rivalità calcistica già molto sentita rappresenta una miscela esplosiva per il derby romano, in virtù appunto di un diffuso stereotipo (in quegli anni ancora piuttosto verosimile) che tendeva a spaccare la gioventù capitolina tra “laziali-camerati” e “romanisti-compagni”; un luogo comune a sua volta figlio di una sommaria analisi sociale che raccontava di una città divisa in ceti e quartieri borghesi (feudi biancocelesti) ed in ceti e quartieri popolari (roccaforti giallorosse).
La partita del 28 ottobre è dunque ad elevato rischio incidenti come accadeva da qualche anno, l’odio tra le due fazione trasuda in un rincorrersi di scritte inequivocabili sui muri della città e sugli argini del lungo Tevere, può concretizzarsi solo nei due derbies stagionali: le Forze dell’ordine sono presenti in quantità a presidiare l’Olimpico, con la fatica di chi (i Carabinieri) deve muoversi agile con una pesante palandrana addosso, eppure il dramma assume forme impreviste e, forse, imprevedibili; sicuramente diverse dai violenti incidenti che, lo stesso giorno, si registrarono al derby di Milano e a Brescia-Como.Poco prima delle 13.30, quando manca più di un’ora all’inizio della partita, dalla Curva Sud parte un razzo che attraversa tutto lo stadio e colpisce Vincenzo Paparelli, un tranquillo tifoso laziale qualunque, seduto nella curva opposta. Per l’uomo, trasportato subito in ospedale, non ci fu nulla da fare: il razzo, dopo un volo di oltre 200 metri, lo aveva centrato in pieno volto causando lesioni gravissime.
Allo stadio intanto si vivono momenti di tensione: i tifosi laziali si abbandonano ad atti di violenza e vandalismo, finalizzati alla vendetta ma soprattutto a non fare disputare l’incontro. La partita viene invece fatta disputare, secondo il capitano della Lazio Wilson anche per evitare ulteriori incidenti, ma è una farsa che si disputa in un clima di paura: la Nord spoglia e devastata, un pallone finito sugli spalti torna in campo squarciato da un coltello, qualcuno assicura persino di avere udito dei colpi di arma da fuoco.Vincenzo Paparelli è stata dunque la prima vittima del teppismo calcistico in Italia e l’episodio, giustamente, provocò grande attenzione e preoccupazione. Tutti si chiesero il perché di una morte così assurda e, più in generale, i motivi dell’escalation della violenza negli stadi.
Per la cronaca il responsabile del lancio del razzo omicida fu presto individuato ma rimase per lungo tempo latitante: si trattava di Giovanni Fiorillo, un ragazzo di soli 18 anni, più noto nell’ambiente curvaiolo con l’appellativo di “Tzigano”. Si saprà anni dopo che per qualche tempo trovò rifugio nelle valli bergamasche, “coperto” da amici atalantini, che a quel tempo tra le due tifoserie esisteva un forte gemellaggio.
La morte di Paparelli occupò le prime pagine di quotidiani generalisti e sportivi ed i titoli dei TG RAI.
VINCENZO VIVE

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